FEBBRAIO 2015: di pute, pan perdu e masche…

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Giornate che si allungano, luce, sole che appare scompare ingannandoti; il primo tepore la voglia di vestire leggero.

Non so se mi piace febbraio: non amo chi promette e non mantiene, chi dice di no poi prende.

Fra tutti i mesi dell’anno è il secondo, ed ha due anime: quella allegra del primo sole, delle gemme e dei boccioli, del Carnevale; poi ci sono i colpi di coda dell’Inverno, le ultime nevicate, il vento freddo e fastidioso, la Quaresima.

Il sacro ed il profano, il bene ed il male: secondo mese dell’anno, il più breve. Gelo di notte, brina, neve ancora sulle colline; il sole caldo di giorno, qualche fiore temerario – ma pochi.

Uccelli che cantano sfidando il freddo, coraggiosi.

Risultati immagini per immagini della natura a febbraioFEBBRAIO

Febbraio è sbarazzino.
Non ha i riposi del grande inverno,
ha le punzecchiature,
i dispetti
di primavera che nasce.
Dalla bora di febbraio
requie non aspettare.
Questo mese è un ragazzo
fastidioso, irritante
che mette a soqquadro la casa,
rimuove il sangue, annuncia il folle marzo
periglioso e mutante

Vincenzo Cardarelli
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Le sere si accorciavano, a febbraio, e mancava il tempo delle storie intorno al fuoco. Ricominciava il lavoro nei campi, a febbraio: preparare la terra  – zappare vangare  frantumare le zolle per poi seminare – potare le viti e il frutteto.
Rimaneva qualche sera qua e là, ed erano le più belle. Attese assaporate, con i più piccoli che si addormentavano al suono della voce che raccontava lenta vecchie storie di masche.
Che la Langa fosse piena di masche, una volta, lo sapevano tutti. Ne avevano tutti paura, chi più o chi meno, persino gli uomini grandi e grossi, quelli con i capelli neri e i baffi lunghi, a torciglione.
Rovesciavano i carri, bruciavano i covoni del grano, seccavano le piantine nuove dell’orto, spaventavano le ragazze per la strada, impaurivano i bambini.
Le donne che allattavano perdevano il latte, ad un certo punto, per colpa delle masche.
Non erano streghe, però. Non facevano sortilegi, non sapevano fare pozioni più o meno magiche. Erano, e basta.
Donne, ma non sempre: la masca più potente era stata il fabbro di Feisoglio, un uomo.
In una notte soltanto andava da Alba a Casale, a Torino, più lontano, chissà.
Volava, saltando di pianta in pianta, sulle nuvole forse anche.
Ci provò Fagiolo, contadino stanco degli scherzi del fabbro, che crudele lo aveva preso di mira.
Si appostò una sera vicino alla sua casa, col fucile ben carico.
– Prima o poi, tornerà ben a dormire, aveva detto ai suoi.
Venne notte, venne mezzanotte, era quasi mattina quando il fabbro tornò.
Volava di pianta in pianta, era grande, più grande di quanto non fosse di giorno.
Fagiolo lo ebbe a tiro, gli sparò.
Era certo d’averlo colpito, non poteva mancarlo così grande, così vicino.
Il fumo, il rumore, il rinculo dell’arma lo lasciarono per un attimo intontito. Chiuse gli occhi, gli parve di aver sentito un tonfo.
Aveva colpito la masca più potente di Langa, il fabbro di Feisoglio.
Riaprì gli occhi e una risata arrivò da dietro di lui.
Si voltò.
– Oh, Fagiolo, hai ammazzato il fabbro di Feisoglio?
Proprio dietro di lui, irridente, così grande da fare paura, il fabbro lo guardava.
Ed il fucile esplose tra le sue mani tremanti.
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Pregarono per lui tutti, in paese, l’indomani. Andarono in chiesa, senza cappello gli uomini, col velo nero le donne.
Fu ancora più grande, dopo quella notte, il fabbro di Feisoglio, la masca più potente di Langa; fece ancora più paura.
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Tremavano anche i bambini, ad ascoltare. Ma le mamme sapevano come consolarli.
Preparavano il pan fritto, a merenda: erano fette di pane duro, quasi andato a male, ammollato nel latte, poi fritto in un filo d’olio e cosparso di zucchero.
Era buono davvero.
Era buona anche la pute, polentina con le erbe  dell’orto; piatto unico prima di primavera.
 Pochi ormai la sanno cucinare, forse neppure piace più: anche i gusti cambiano.
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RICETTA DEL PAN FRITTO secondo mia madre
In dialetto “pan fricc” oppure “pan perdu”, come riporta Cristina Parodi in uno dei suoi ricettari.
OCCORRENTE: pane duro, vecchio di qualche giorno, meglio se di grandi pagnotte (tralasciate i panini, per favore), latte, zucchero, poco olio extravergine di oliva.
Tagliare il pane a fette di circa un cm., un cm. e mezzo di spessore, ammollarlo nel latte  poi friggerlo in una padella ben calda con poco olio .
Quando sarà ben dorato da ambo le parti, sgocciolarlo sulla carta assorbente e zuccherarlo.
Mangiarlo caldo.
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La “PUTE”, ZUPPA DI ERBE PRIMAVERILI, secondo LUIGINO BRUNI
la “pute” di erbe primaverili è un piatto ormai completamente dimenticato. Il suo nome deriva dal latino pultis e sta ad indicare una crema di verdure addensata di farine, è interessante e molto indicata in questa stagione per le sue proprietà rivitalizzanti e la ricchezza di minerali e di vitamine che contiene.
INGREDIENTI: (dose per 6 persone):
una fetta di pancetta, un mazzo di asparagina o di asparagi, 300 grammi di punte di ortiche non ancora in fiore, 300 grammi di piantine di papavero o “donnette” sostituibili con bietole o spinaci, 50 grammi di parmigiano grattuggiato, mezzo bicchiere d’olio extravergine di oliva, 200 grammi di farina di mais fioretto  macinata fine e sale q.b.
Lavate e pulite le erbe, tritatele grossolanamente e mettetele in una pentola unendo la fetta di pancetta. Versate 5 litri d’acqua, salate e cuocete per circa 15 minuti. Togliete la pancetta e veersate a pioggia la farina di mais. Cuocete per circa tre quarti d’ora mescolando come per preparare la polenta. La pute dovrà risultare della consistenza di una crema. Aggiungete il parmigiano grattuggiato e servite in una fondina con olio, formaggio e, se volete, pepe.
… E buon appetito! ( gradite, che le masche vi guardano)
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dedicato a mio padre, narratore di storie  di masche di Langa.
febbraio 2015